(romanzata da Francesco Palombo)

Su una terrazza della Fortezza spagnola di Santostefano, Stato dei Presidi. Alba del 9 Maggio 1646.

<<A cosa cosa pensi, mia signora?>>
<<Non chiamarmi così, te lo ripeto da anni. Non sei più la mia serva, ti considero ormai più un’amica o una sorella>> rispose Giacinta volgendo repentina il suo viso verso la ragazza, mentre la sua lunga chioma nera continuava a seguire le direzione del vento.
<<In questa nuova alba, cosa ha catturato il tuo pensiero, mia signora?>>
<<Ti voglio bene anche per questo: sei tenace, non molli mai. Ma adesso non c’è mio padre. Puoi smettere di far finta di essere la mia serva? Non ti ho mai dato motivo di pensarlo.>>,  disse Giacinta in maniera seria, ma senza ombra di rancore. <<Guarda verso Nord-Ovest, dove si apre il mare e si interrompe la vista della terra di fronte. Con la tua mente supera campagne, colline, monti e vallate, città e strade. Riesci a vedere la nostra Spagna?>>.
Silenzio.
<<Sì, ci riesco, mia signora.>>
Silenzio.
<<Perché ora stai piangendo, mia signora?>>
<<Io non ci riesco più. Sono giorni che non ci riesco. In questi anni che siamo qua, ad ogni alba sono sempre uscita fuori, su queste terrazze, a guardare l’orizzonte. Riuscivo a vedere la nostra terra, noi due da piccole che giocavamo insieme, i colori, … e a sentire i rumori e i profumi di allora. E ad immaginare il futuro. Adesso non vedo più oltre questo tratto di mare stupendo che osservo. E il futuro che stavo scrivendo nella mia testa, adesso non c’è più. Mi sembra una strada impervia della quale non conosco la meta.>>
<<Dovevi sposarti, mia signora, ma a causa di questo attacco nemico sono crollate tutte le tue sicurezze. Il tuo matrimonio è stato rimandato. È normale quello che stai provando. Cerca di stare ferma, come una nave che nella tempesta ammaina le vele per aspettare che il vento passi oltre. Nella vita a volte ci sono dei momenti in cui bisogna fermarsi un attimo, ad aspettare. Quei momenti in cui non puoi cambiare il corso degli avvenimenti. Vedrai che gli scontri finiranno e che presto tornerà il sereno. Il tuo bel soldato Jacopo è innamorato di te e nessuno potrà mai cambiare questo.>> le disse la serva tenendole le mani.
<<Si vede che oltre a giocare insieme, spesso abbiamo anche studiato insieme. Molte volte sei più saggia di me. Di Jacopo sono assolutamente sicura. È la mia certezza, il sole che mi ha abbagliato gli occhi in una bella giornata e che mi lascia la felicità dentro ogni volta che solamente immagino di incontrarlo.>>
<<E allora, perché questa tua tristezza?>>
<<Perché ho paura. Perché, da quando è iniziato l’attacco francese, ho paura che tutto possa finire. Ho paura che questa felicità che sto toccando con mano, mi venga strappata quando meno me lo aspetti. E non capisco se è più penoso non esser mai felice oppure vivere la felicità per poi rimanerne orfana.>>. Così dicendo, Giacinta ritornò a guardare il suo panorama. Quel panorama che fin dal primo giorno del suo arrivo l’aveva ammaliata: il mare azzurro intenso che prendeva i colori del cielo, con i verdi pendii attorno all’approdo di Santostefano; e le terre all’orizzonte, costiere prima e montuose poi.
Così mattiniera era solita essere la bella Giacinta, figlia del Castellano di quella Fortezza a guardia dell’approdo di Santostefano.
Giacinta: nessuno sa se rispettata più per l’importanza della sua famiglia o per il timore nell’affrontare la sua bellezza.
Bellezza al cospetto della quale, si diceva per tesserne le lodi, a volte pareva che addirittura il sole si nascondesse timido dietro le nuvole, per far capolino al mattino dal poggio di oriente.
Sarà stata la sua giovane età, la sua folta chioma riccia come le onde e nera come la notte scura, i suoi lineamenti delicati, gli occhi verdi del suo sguardo penetrante, il suo sorriso sincero che a volte usciva così tremendamente piacevole ed inaspettato nella sua compostezza di sempre, il suo andare lieve e indifferente ad ogni incontro in quel castello che la vedeva inconsapevole protagonista, … fatto sta che la sua figura sembrava intagliata dal più bravo degli scultori su quella fortezza maestosa e in quel pittorico paesaggio, come a regalar un dono ai bei lidi di quello strano promontorio roccioso aggrappato alla terraferma.
E se è vero che una donna è bella non quando è graziosa d’aspetto, ma quando è felice, allora Giacinta -da futura sposa- era felicemente ancor più bella. Questo fino al mese passato, esattamente al giorno 8 Aprile, quando arrivarono le prime notizie dell’assedio di Orbetello tentato da francesi e piemontesi. E con quelle notizia si ruppe la felicità della fanciulla, che fu costretta a rimandare, con la data già fissata, il suo matrimonio tanto desiderato con il bel soldato che le aveva stregato il cuore e che viveva solo per lei.
Non è che in una fortezza costiera si potesse viver tranquilli: Giacinta lo aveva capito da tempo. Ma stavolta aveva una strana sensazione, come se avesse sognato che non si trattava più dei soliti piccoli scontri, ma di qualcosa molto più grande.
<<Mia signora, nessuno può sapere se e quando i nemici attaccheranno questa fortezza. Come nessuno conosce la propria vita, nemmeno le foglie di quegli alberi, perché non sanno quando ci sarà il sole e quando la pioggia o il vento forte. Ma guarda le foglie di quegli ulivi laggiù come brillano al sole ogni giorno. Se aspettassero solamente il vento, perderebbero tutta la propria luce d’argento.>>.
Giacinta sorrise, con quel suo radioso sorriso inaspettato. <<Hai ragione, mia cara amica. Godiamoci queste prime luci del giorno assieme, ascoltando il mondo attorno a noi. Senza pensare più a niente. Come quando, da bambine, giocavamo spensierate all’ombra delle querce.>>.
E così, mentre gli sguardi delle due giovani si perdevano lievi verso l’infinito, all’orizzonte spuntò una vela nemica. Ma, purtroppo, era solamente la prima di quel lontano 9 maggio 1646.

(Francesco Palombo)

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